Emilio Isgrò cancella per ricordare. Sembra quasi un ossimoro, ma le cancellature di Emilio Isgrò non sono volte a mettere in evidenza l’immagine di un’opera, ma sono volte a mettere in evidenza un’opera nei suoi significati più profondi, in quei significati che sono fondamentali per tradurre l’opera da inanimata rappresentazione di qualcosa, in un oggetto, per entrare in relazione con qualcuno.
Un’opera d’arte se non ha una relazione fra chi comunica e chi riceve, fra il trasmittente e il ricevente, non esiste, l’opera diventa un oggetto inanimato. Le cancellature di Isgrò sono proprio volte a stimolare l’intelligenza, la curiosità, la penetrazione amorosa del fruitore, del visitatore, che attraverso il colore della cancellatura riesce a cogliere il chiarore dei testi.
Le opere di Isgrò che si chiamano Cancellature, paradossalmente, non stanno nelle cancellature, ma le cancellature sono un abile stratagemma grafico ed artistico per mettere in risalto ciò che le cancellature non coprono: è qui il messaggio dell’artista che tende a sollecitare l’intelligenza del visitatore, del fruitore, che penetra nelle parti essenziali di un’opera che Emilio Isgrò ha individuato come importante nel valore della comunicazione di questo tempo.
È questo il senso della riproposizione, per esempio, da parte di Emilio Isgrò del De Vulgari Eloquentia, come è stato questo il senso della riproposizione della cancellatura della Divina Commedia che si trova nell’atrio dell’Università IULM di Milano. Questa cancellatura, queste opere delle cancellature, soprattutto il De Vulgari Eloquentia, ha il senso, lo scopo di ricordare ai fruitori, in particolare a noi italiani, che la dimensione della lingua, la dimensione dell’italiano è una dimensione fortemente connotata nella coscienza identitaria delle nostre popolazioni, delle nostre genti. Soprattutto per questo profondo legame, che molti hanno voluto evidenziare, ma che è molto sottile, tra Dante e la Sicilia: in particolare ciò che lega questo mondo fiorentino al mondo siciliano è quel fil rouge che, partendo da Ciullo d’Alcamo e attraversando l’Italia medievale, arriva ad una forte caratterizzazione dantesca nella fondazione del volgare, il volgare italiano.
Ecco, credo che questo sia il senso più profondo del messaggio di Isgrò, uomo versatile, intelligente, provocatore, ma, al tempo stesso, attento misuratore del linguaggio e delle sue efficaci penetrazioni. Quindi credo che quest’opera, in qualche modo, come tutte le opere di Isgrò, inviti e solleciti il visitatore, il fruitore a mettersi in gioco. Un’opera tu la puoi vedere distrattamente, – ricordo il famoso ascolto distratto musicale – in questo caso un’opera di Isgrò se la vedi distrattamente non capisci nulla, non ti dice nulla, non ti sollecita nulla. Un’opera di Isgrò mette in gioco il suo visitatore, il suo fruitore, gli dà la sensazione di essere protagonista perché deve cercare, tra le cancellature, il messaggio. Ecco, credo che sia questa la grande e fondamentale scoperta di linguaggio artistico di Emilio Isgrò, che penso lo consegnerà ai posteri come un intelligente critico ma anche come un eccezionale sollecitatore di messaggi profondi dell’arte e della cultura.
La Fondazione Chiazzese – che lega il suo nome ad un grande personaggio dell’intellettualità e della cultura siciliana che in tempi lontani, tra 60 e 70 anni fa, ha dato un’impronta decisiva alla cultura, all’università, all’impresa perché era anche un Uomo di azione, di impresa, come Lauro Chiazzese – contribuisce, a questa Mostra, per stare dentro questa filiera e, nello stesso tempo, per richiamare la figura del suo Fondatore, dell’Uomo a cui essa si dedica ed è rivolta, il senso profondo della traccia degli intellettuali nella propria terra.
Si lascia una traccia non soltanto con il nome, ma con le opere e credo che questo sia il messaggio che lega la Fondazione Chiazzese e la Fondazione Sicilia e anche, se mi posso permettere, entrambe ad Emilio Isgrò, a questa grande iniziativa.
Giovanni Puglisi
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