Finora gore era un’espressione abbastanza di nicchia , da qualche giorno invece è diventata una nuova parola alla moda: tratta dal solito inglese, letteralmente vuol dire incornare, con un palese riferimento ad un atto violento immediatamente associato ad un’azione cruenta con protagonista un animale dotato di corna. Viene subito alla mente l’orribile pratica ispanica della corrida, durante la quale talvolta accade che il torero finisca proprio incornato dal toro e in qualche caso muoia.
Da qualche giorno i soliti giornalisti di cronaca nera – aspettiamo con ansia i dotti commentatori delle pagine culturali o di costume! – hanno cominciato a veicolare, in salsa di cultura di massa, il genere gore, come qualcosa collegata a pratiche di violenza estrema, che dà un effetto quasi drogante, aprendo ai fruitori di questo genere abominevole uno scenario di piacere al limite dell’erotismo. L’inaudita vicenda – si legge – è emersa a seguito di una indagine di polizia postale su alcuni siti pedopornografici, ed ha portato in carcere, anzi, no, agli arresti domiciliari o, addirittura, in castigo all’angolo del salone di casa, una ventina di “stra-minorenni”, tra i 13 e i 17 anni, che creavano, producevano, forse anche implementavano, e diffondevano in rete siffatti filmati a soggetti o clienti, le cui generalità ancora non si conoscono, come non si comprende bene quali possano essere le caratteristiche di mercato di questo vergognoso traffico.
Naturalmente nulla da dire sulla benemerita azione della polizia postale, che messa sull’avviso da una madre, un po’ più attenta delle altre, alle “attività” (scolastiche? extrascolastiche?) del proprio “bambino” ha dato il là a questo opportuno repulisti. E, ancora, nessun commento sull’attività investigativa in corso, se non per apprezzarne la tempestività e la determinazione. Quanto piuttosto mi preme mettere in risalto è l’aspetto psico-sociale del fenomeno, legato alla giovane età dei protagonisti di questa squallida storia, ma soprattutto quanto attiene all’azione non-azione delle famiglie e degli atri soggetti preposti alla formazione – parlare di educazione in verità mi viene forte! – di questi belli imbusti.
Non voglio qui, nemmeno lontanamente, rimpiangere o evocare metodi del secolo scorso in tema di educazione familiare e scolastica: voglio solo, ma con fermezza, richiamare l’attenzione di una società abbagliata dai consumi e/o distratta da una abitudine a confondere la sfera di autonomia di azione di un giovane – ovviamente da calibrare nel suo perimetro all’età del rampollo! – con la “maturità” (parola grossa!) intellettiva, culturale individuale e, soprattutto, con il livello sociale della rete di amicizie scolastiche e non solo.
Certamente il nostro tempo, i mezzi di comunicazione di massa, la facilità dell’informazione, anche quella più spinta e meno selezionata, fanno la loro parte tanto sui “grandi”, quanto sui più giovani. Ma la necessità di un bilanciamento tra il momento di educazione familiare e quello di formazione scolastica dovrebbe diventare la griglia selettiva per intercettare deviazioni così vistose, come questa di cui ci stiamo occupando.
Senza andare lontano, ma certamente ricorrendo all’aiuto di uno dei più gran di educatori dell’età moderna, don Giovanni Bosco, l’educazione è qualcosa di globale, che affida alla prevenzione l’asset portante della sua efficacia: la repressione è sempre un rimedio, mai un progetto. Prevenire, piuttosto che reprimere, diceva don Bosco: qui però dobbiamo cominciare dalla coda – e meno male, direi! – osservando che forse sarebbe il caso di porsi anche il problema di come cominciare ad educare o rieducare (oggi si dice con espressione di moda “aggiornare”) gli educatori, siano essi genitori o insegnanti.
Rimane aperta, infine, la questione relativa all’oggetto del genere “letterario”: la violenza gratuita ed estrema delle immagini, soprattutto ciò che esse veicolano, mista ad una spasmodica ricerca di un piacere erotico, che, alternando il sesso con la violenza, fa dell’uomo esattamente quello che la parola che connota in genere indica: una bestia.
Siffatta modalità di soddisfazione del piacere non può assolutamente essere qualcosa di innato, non può venire da una causale frequentazione amicale e men che mai familiare – a meno di essere davvero in una giungla, più o meno, di cinque millenni fa –, ma deriva e tracima da un’abitudine, diventa assuefazione alla frequentazione di siti e immagini che finiscono con l’essere introiettate nella coscienza patogena più intima e profonda di questi adolescenti, prima ancora che nel loro immaginario erotico. Siffatti piccoli mostri hanno certamente la responsabilità di avere saputo introiettare prima delle immagini e della abilità alla loro manipolazione, la facilità di navigare in un mondo virtuale del quale e nel quale hanno fatto in modo abominevole quello che in dialetto palermitano, quasi intraducibile, si dice straminie; però, prima di loro e più di loro vanno crocifissi, moralmente e penso anche giudiziariamente, quanti, genitori, parenti, insegnanti, si sono o distratti o girati dall’altra parte, mentre i loro “angioletti” si immergevano in quello sterco virtuale, non volendolo vedere e non percependone, neppure per sbaglio, il puzzo.
Senza, dunque, falsi puritanesimi e false affermazioni di un presunto diritto alla libera espressione delle proprie attitudini individuali, sarebbe arrivato il momento di cominciare a ridiscutere molte cose delle forme e delle modalità di educazione dei giovani con le quali genitori e insegnanti si riempiono la bocca, mentre si girano dall’altra parte. Si può certamente essere liberal, sia in casa che a scuola, ma occorre averne la cultura, la formazione e le capacità.
E questa è proprio un’impresa più ardua di quella della polizia postale.
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