Cosa rimane del COVID 19? Il nutrito dossier dei DPCM di Giuseppe Conte e, in appendice, qualche DL o conseguente Legge di conversione. Il prof. Zangrillo ha “certificato” la scomparsa del virus, i virologi hanno fatto sapere che sono d’accordo con Zangrillo, ma che il virus invece continua ad esserci, i politici sono d’accordo con Zangrillo e con i “nemici suoi” e gli italiani? Come sempre, tirano a campare.
La storia è davvero brutta: ma, in parole semplici, raccontata in salsa pirandelliana, è tragicomica. Ciascuno la legge e la intende come vuole: mentre un po’ di economia si è messa in movimento e i contagi e i morti diminuiscono, talora scompaiono, in Lombardia e regioni viciniori persistono e si contano giornalmente in modo monotono e triste, senza che tutto questo sembri turbare, più di tanto, nessuno. L’Italia, la bella Italia, ha ripreso a marciare: il passo è, si dice che è adeguato, il risultato ancora è non certificato, il disagio di chi ancora incontra, qua e là, il virus crescente, ma silente, aumenta, come aumenta l’immunità di gregge – o così sperano –, in attesa di un’App, che, sostituendosi al più difficile algoritmo, ne certifichi l’esistenza, ovviamente casuale.
E l’italiano? Brava gente, aspettano, sperano, guardano le statistiche striminzite che adesso passano nelle televisioni e fanno finta di crederci. Debbono crederci. L’Italia ha ripreso a camminare. Così la raccontano. Almeno fino all’autunno. La liquidità però diminuisce sempre di più, le promesse in parallelo scorrono sempre più fluide. L’economia paludata dei Palazzi alza la voce per rivendicare garanzie, la politica imbalsamata del Museo della Repubblica (prima, seconda o terza, difficile da distinguere), sommessamente si indigna, e affida all’emozione per le Frecce tricolori il suo ultimo conato di dignità, confondendo deliberatamente, senza pudore, i ruoli tra maggioranza e opposizione, nel nome di Mameli, ma soprattutto dell’irrinunciabile consenso elettorale.
Rimane intatta solo l’arte, tutta italiana, dell’arrangiarsi: ma anche questa è separata per aree regionali. In Lombardia vuol dire “non fermarsi” al suono della marcia di Radetzky, a Roma, ancora profondamente intrisa della cultura antropologica del Marchese del Grillo, arruolarsi, senza troppe attenzioni, ai vari carri dell’industria politica, nel vecchio Regno delle due Sicilie trovare il modo di riesumare, tra le tre famose “effe” dell’asburgico Francesco Giuseppe, solo le prime due “festa e farina”. Per la terza, la forca, c’è sempre tempo, come per il COVID, per il quale non si esclude il 20, e per Conte, che punta al 3.
Grande Dante: «Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello!»
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